giovedì 18 novembre 2010

Disposofobia ...il non voler buttare via mai niente...

Riporto un articolo, molto interessante, di Manuela Bianchi che ho trovato sul sito www.girlpower, a proposito della comunissima DISPOSOFOBIA...penso possa interessare un pò tutti quanti noi...!!!

A cura di Manuela Bianchi

disposofobia_1Gl’inglesi lo chiamano compulsive hoarding, sarebbe a dire “accumulo compulsivo”, da noi meglio noto come disposofobia o anche “sindrome della soffitta piena”: si tratta di un disturbo patologico ossessivo che costringe chi ne è vittima ad accumulare oggetti su oggetti – utili e non – senza riuscire a darsi un freno neanche quando la situazione si spinge tanto avanti che questa raccolta irresistibile di “beni” arriva a invadere letteralmente la casa e impedire la circolazione fra le 4 pareti domestiche.

Maria Rita Parsi, docente di Psicologia Generale 2 all'Università telematica Uniecampus e fondatrice della SIPA (Scuola Italiana di Psicoanimazione), lo definisce un «impulso dell’accumulo che non permette di selezionare e porta, con l’andare del tempo, alla perdita del controllo”, precisando che “è un comportamento tipico delle persone insicure, soggetti svuotati che non sanno scegliere. In generale, e questo vale per tutti, si cresce con le rinunce, mentre queste sono persone che non sanno dare priorità alle cose, a partire dagli oggetti».

Le radici del meccanismo insomma, sia nella sua forma lieve che in quelle patologiche, sono sempre di fattura psichica, come dire che la questione dello spazio, in realtà, altro non sarebbe che il riflesso di un problema dell’anima. A questo proposito Nicole Bianchi, esperta in dinamiche relazionali, dalle pagine di “Psychologies Magazine” spiega che “il dolore nel buttare via qualcosa che si vorrebbe tenere anche se inutile è tendenzialmente duplice: si soffre sia per il distacco in sé, sia perché si vedono gli oggetti come estensione del proprio io, delle proprie emozioni”.

E se comune è la matrice, moltiplici sono gli imput: c’è chi accumula in nome del “non si sa mai, potrebbe sempre servire”, chi lo fa perché tende a credere al classico “habeo ergo sum” e chi invece, magari, per il timore inconscio di dimenticare quello che è stato. Nel primo caso si tratta di un atteggiamento che rivela una grande paura, ovvero quella del futuro: si conserva il più possibile per prevenire eventuali bisogni che verranno ed evitare anche così, di volta in volta, i passaggi obbligati di rinuncia e conseguente accettazione che qualsiasi rinnovamento implica inevitabilmente in sé. Gli adulti che invece proiettano un valore eccessivo sul possesso potrebbero rivelare, secondo la psicanalisi, una personalità cosiddetta “anale”, termine con cui si indica quello stadio della crescita del bambino in cui si imparano la nozione di dono e il concetto di proprietà: non a caso si tratta spesso di soggetti che hanno ricevuto un’educazione molto rigida – e dunque esigente ‐ che ha finito col creare confusione sul giusto equilibrio fra il dare e l’avere.

disposofobia_2Infine, dicevamo, c’è chi conserva ricordi su ricordi: gli oggetti del passato, in questo caso, oltre al sacrosanto fattore affettivo e rievocativo forniscono la prova della propria esistenza e quindi un’affermazione d’identità, come se a definirci fossero i nostri averi e non le nostre azioni. Insomma strade diverse che portano, però, ad un risultato che è sempre quello, sarebbe a dire il trionfo del superfluo e la mancanza di spazio, tutte cose che a pensarci un attimo – e senza andare a scomodare la vera e propria patologia – rientrano tranquillamente nelle cattive abitudini di molti.

E per quelli che già da tempo stavano rimuginando a come correggere il tiro ma continuano a rimandare perché proprio non ci riescono, 3 sono i trucchi per cominciare a farsi largo fra le cianfrusaglie e ridare ossigeno a ripiani e cassetti:

1. Prima di tutto individuare nel mucchio (o nei mucchi) gli oggetti “insalvabili”: dalla sorpresa impolverata dell’ovetto Kinder fino al pennarello che non funziona più da tempo immemore, qualsiasi cosa anche se minuscola è pur sempre un gioioso centimetro di potenziale spazio guadagnato.

2. Ogni giorno un angolo. Roma non fu costruita in un giorno e lo stesso vale per noi: svuotare la borsa liberandola dai chili di scontrini ammuffiti e pacchetti di sigarette vuote del mese scorso prenderà solo pochi minuti e non ci sarà più scusa (lavoro, bambini da portare all’asilo, palestra che incombe, interrogazione del giorno dopo) che tenga.

3. Imparare, nel tempo, a mantenere lo spazio ricreato e buttare le nuove cose che non servono via via. Prevenire, come diceva qualcuno, è meglio che curare e inoltre, specialmente in questi casi, dimezza la fatica e raddoppia il rendimento.

Sicuramente utile poi, volendo, anche qualche lettura a tema, per esempio “Lo space cleaning” di Gigi Capriolo (a cura di Xenia, 125 pg, 6.50 €), o anche “Le leggi della semplicità” di John Maeda (a cura di Bruno Mondadori, 147 pg, 10 € ), una sorta di percorso guidato, strutturato in 10 regole, che mira proprio a sviluppare un equilibrio maggiore nei comportamenti della vita di tutti i giorni.

Ma al di là dei giusti consigli e – per chi ce li ha ‐ dei buoni propositi, restano comunque 2 i fattori fondamentali: prima di tutto la consapevolezza della propria situazione e, altrettanto importante, la voglia di migliorare. Che ci sia il bisogno dell’aiuto di uno psicoterapeuta o semplicemente di una bella mano di pulizia, insomma, il concetto parla chiaro: impegnarsi per migliorare fa crescere, fa bene, e la zavorra, a quanto pare, alla linea non giova ma alla vita neppure.

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